C’è chi ha perso tutto, ma non la voglia di combattere.
Come Hadi Tiranvalipour, rifugiato iraniano, oggi atleta di taekwondo nella categoria -58 kg, arrivato in Italia dopo un viaggio di sopravvivenza. Sul tatami ha trovato molto più che uno sport: ha trovato disciplina, rispetto, una lingua nuova per raccontare se stesso. Come lui, decine di atleti rifugiati stanno riscrivendo la propria storia nei centri sportivi italiani, dove lo sport diventa simbolo di inclusione e di riscatto. Secondo l’UNHCR, nel nostro Paese sono in crescita i progetti di integrazione attraverso l’attività fisica, con risultati concreti in termini di autostima e inserimento sociale.
Lo sport, infatti, non è solo competizione ma strumento di coesione. Nelle palestre, nei campi e negli stadi italiani si incrociano storie di giovani che, grazie a un allenatore o a una squadra, imparano a sentirsi parte di una comunità. Dalle iniziative di calcio inclusivo promosse dalla FIGC ai progetti “Sport e integrazione” sostenuti da Sport e Salute, l’Italia si sta affermando come laboratorio europeo di modelli sportivi a impatto sociale. Una forma di accoglienza concreta, che unisce passione, educazione e rispetto reciproco.
È lo stesso approccio che SIA Servizi, all’interno del progetto Road To Italy®, porta nel campo della formazione e del lavoro. Perché integrare significa prima di tutto riconoscere i talenti, che siano sportivi o professionali. Attraverso corsi di lingua italiana, percorsi di formazione tecnica e inserimento lavorativo, SIA Servizi costruisce il terreno su cui i rifugiati possono correre davvero verso un futuro migliore.
Come nello sport, anche qui la regola è una sola: allenarsi ogni giorno per superare i propri limiti.




